Paolo Barnard – 6 novembre 2008
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Obama Presidente. Rallegramenti, ma non abbiamo già visto questo film?
Circola ora un’euforia incontrastata, particolarmente qui in Italia, per le speranze che Obama presidente significhi un ritorno a politiche ‘illuminate’, qualcosa di più progressive, più di sinistra addirittura, una ventata di luce dopo gli otto anni di tenebre neoconservatrici in America e nel mondo. Questa aspettativa eccitata si è diffusa a pioggia, e come al solito è divenuta dogma acritico per una massa enorme di cittadini italiani di centrosinistra e sinistra propria, con ogni sorta di congettura declamata entusiasticamente dai soliti ‘informati’ commentatori di quell’area. Viva Obama, il mondo cambierà, è il coro. Ma non abbiamo già visto questo film?
Era il 1992, e il volto era quello fresco di Bill Clinton che ci annunciava l’uscita da ben dodici anni di buio Repubblicano, e anche allora registrammo l’esultanza di mezzo mondo. Ma che ne fu di quelle speranze? Furono devastate dall’ex governatore dell’Arkansas, la cui presidenza toccò punte persino di infamia, oltre a non discostarsi se non cosmeticamente dal lavoro dei falchi di Reagan. Leggerete più sotto.
Bisogna rimanere calmi e tentare di essere obiettivi osservatori della Storia. Non possiamo discostarci dal fatto che è stato eletto un presidente degli Stati Uniti d’America, che è la potenza egemonica in guerra permanente- una guerra spietata sui fronti militari, economici e diplomatici - per la propria sopravvivenza come tale. Che è un Paese dove un centrosinistra, o persino qualcosa di vagamente tale, non esiste. Gli Stati Uniti di oggi sono retti al vertice dall’alternanza fra due forze di destra conservatrice, che si differenziano per dettagli minori di politica interna, e per dettagli evanescenti in politica estera. La retorica dei proclami sui palchi è una cosa, la realtà di governo di una simile macchina nel contesto del mondo moderno è un’altra.
Obama è un nero, d’accordo, ma coi neri d’America, col loro colore, stile di vita, linguaggio, e condizione sociale ha ben poco in comune. Innegabile il primato di un nero alla Casa Bianca, ma guardiamo oltre, per favore. E la prima cosa che si osserva è che un’attenta lettura del programma di Barak Obama lascia una sorta di vuoto mentale e nessuna idea precisa. Dalla Sanità alla politica estera, dall’economia alla scuola, veniamo trascinati attraverso una serie di proclami talmente generici da produrre un unico possibile interrogativo: ma che significano in pratica? Soprattutto, a voler essere un poco più precisi, dove sono le risposte del senatore Obama ai temi più cruciali della politica americana, ovvero ai temi più vergognosi della sua politica estera? E cioè: lo strapotere delle lobby economiche e di quella ebraica nelle stanze che contano a Washington, che il suo programma solo vagamente tratta; la politica scellerata oltre che immorale sul Medioriente, all’insegna di un incredibile sistema di due pesi e due misure nei rapporti con Israele/Emirati/ArabiaSaudita e a sfavore di chiunque altro; il sostegno americano alla repressione in Colombia, che nel nome della lotta alla droga sta assassinando la società civile attiva di quel Paese, e la rapina storica che le multinazionali statunitensi pretenderebbero di perpetrare ancora su milioni di campesinos in miseria, per giungere alla continua interferenza americana negli affari interni di tutta l’America Latina; la vergogna dell’embargo economico contro Cuba; il dramma dell’abbandono sanitario di 44 milioni di cittadini statunitensi che invocano (assieme a milioni di altri) un sistema sanitario nazionale gratuito basato sulla tassazione pubblica, e non mezze misure dove al centro stanno comunque le solite compagnie assicurative; il problema degli accordi di libero scambio commerciale che stanno uccidendo masse di posti di lavoro negli USA mentre creano posti di lavoro da schiavi nei Paesi aderenti (sempre Terzo Mondo); la fine del balletto vergognoso del rispetto selettivo delle regole internazionali che Washington adotta come politica standard da 50 anni, e cito le regole del WTO, del NPT, della Biological Weapons Convention ecc., e il rispetto delle sentenze delle corti internazionali come la Corte Internazionale di Giustizia, o il Tribunale Criminale Internazionale, o ancora il rispetto delle Convenzioni di Ginevra e dell’Habeas Corpus; il ritiro della presenza militare americana dall’Iraq intesa come ‘ritiro’, e non la farsa del ritiro di truppe spicciole che lasciano però sul terreno le più sofisticate basi militari americane al mondo; la Guerra al Terrorismo, come mezzo per la disseminazione di quelle basi in posti chiave per le risorse necessarie all’America; la fine delle leggi liberticide che l’amministrazione Bush ha passato con la scusa della Guerra al Terrorismo; la stagnazione degli stipendi medi americani da oltre 30 anni e la povertà a livelli scandalosi per il Paese più ricco del mondo, che non beneficeranno certo di qualche taglio alle tasse o donazione per un gran totale di 50 miliardi di dollari, mentre il budget per la difesa rimane di 700 miliardi di dollari l’anno; l’esplosione di una finanza speculativa fuori controllo che tiene oggi tutto il Pianeta sotto la spada di Damocle di 540 mila miliardi di dollari in prodotti derivati che fluttuano all’impazzata e senza controlli, una bomba atomica sotto ogni letto di ogni cittadino del mondo. E sono molti altri i temi pressanti su cui Obama ha detto da troppo poco a sostanzialmente nulla.
La terza, drammatica falla nel clima di euforia per l’ascesa di Obama alla Casa Bianca è la gioia per il ritorno a Washington della miglior tradizione dei ‘nuovi Democratici’, come se la parola Democratici in sé fosse automaticamente sinonimo di qualcosa di diverso dalla destra, di un vento fresco e rigeneratore per l’America e per il mondo. Non lo è, e non lo è stata finora. Infatti, si può tranquillamente asserire che le presidenze Democratiche del dopoguerra hanno rappresentato la continuità dell’imperialismo all’estero e della ‘guerra ai poveri’ interna propria dei Repubblicani. La spiegazione per la diffusa inconsapevolezza di quanto ho appena affermato è duplice: da una parte la geniale capacità dei più noti presidenti Democratici di ‘vendere’ all’opinione pubblica le stesse porcherie della controparte (e peggio) con tale garbo da intontire i più; in secondo luogo, la solita farsa dei grandi media compiacenti-silenti, coi loro giornalisti asserviti.
Concludo. Bisogna rimanere calmi, e usare lo strumento del raziocinio e dell’esperienza. Abbiamo un presidente Democratico d’America, bene. Il passato ci insegna che questo di per sé non significa nulla di meraviglioso, anzi. Il presente ci suggerisce che la nuova svolta è, per ora, solo retorica e disgiunta dalla realtà. La realtà è che abbiamo un presidente dell’America, cioè un uomo il cui primo compito è di preservare la sua egemonia nel mondo e il suo stile di vita, entrambi “non negoziabili”. Ciò ha sempre avuto, ha, e avrà costi orrendi, non v’è scampo, se non nella fantasia degli ingenui. Felici per Obama, ma prudenza.
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