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mercoledì 26 dicembre 2007
Legge Biagi e il lavoro precario
Lo scorretto utilizzo della legge Biagi sta rendendo precario anche il lavoro a tempo indeterminato. E' ora di ribellarsi sia allo statalismo che al precariato causato dalla cessione di ramo d'azienda.
Legge Biagi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: Navigazione, cerca
La legge Biagi (Legge 14 febbraio 2003, n. 30 o, più brevemente, legge 30/2003) - "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" è una legge di riforma del mercato del lavoro che fu varata dal secondo governo Berlusconi. La legge prende il nome del giuslavorista Marco Biagi che vi ha contribuito come consulente e che è stato assassinato il 19 marzo 2002 a Bologna dalle nuove Brigate Rosse. Coloro che non vogliono associare alla memoria di Marco Biagi la legge (perchè ritengono che il progetto ideato da Biagi differisca con la legge effettivamente poi varata dal governo), la chiamano alternativamente: legge 30, legge Maroni o legge Sacconi (esponenti del governo che l'ha emanata). In realtà è improprio attribuire la regolamentazione del mercato del lavoro alla legge n.30/2003, in quanto quest'ultima è sola una legge delega al Governo. Ad essa ha fatto seguito il D. Lgs. n. 276/2003 che è invece la fonte normativa definitiva. Indice [nascondi]
* 1 Normativa * 2 L'efficacia della riforma o 2.1 Pregi o 2.2 Difetti * 3 Riferimenti e note * 4 Voci correlate * 5 Altri progetti * 6 Collegamenti esterni
Normativa [modifica]
La legge Biagi introduce una riforma di portata (e numero di articoli), pari allo Statuto dei lavoratori. Diversamente da quest'ultimo, parte dal presupposto secondo cui la flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro è il mezzo migliore per agevolare la creazione di nuovi posti di lavoro e che la rigidità del sistema crea solo alti tassi di disoccupazione.
Secondo i detrattori della riforma, rispetto allo Statuto dei lavoratori, la legge riduce drasticamente diritti e tutele e le possibilità di intervento della magistratura nelle questioni contrattuali, che sono definite nell'ambito della concertazione fra le parti sociali, istituendo nuove figure lavorative che, nelle intenzioni del legislatore, meglio si adattano alle esigenze del mercato del lavoro globalizzato. La concertazione affida ancora poteri significativi ad un organo dello Stato, il Governo, che deve mediare fra le parti sociali (sindacato e associazioni di imprenditori).
Un decreto legislativo, n. 476 del 2003, in attuazione della Legge Biagi, estende notevolmente la definizione di trasferimento di ramo d'azienda all'art. 2112 del Codice Civile, non creando nuovi ambiti di possibile applicazione, ma includendovi operazioni già previste dalle normative, per le quali non esistevano gli stessi diritti e tutele. La modifica, dovuta alla Legge Biagi, a vantaggio dei lavoratori, aumenta il numero di quanti beneficiano dei diritti previsti in caso di outsourcing, al comma 5 del citato articolo (introdotti con la legge n. 18 del 2001).
Secondo i sostenitori della riforma, la legge Biagi, aumentando la flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, produce un aumento del tasso di occupazione e sostituisce uno strumento, ritenuto dagli stessi obsoleto, come quello della concertazione tra le parti sociali.
La legge Biagi ha introdotto, tra le altre cose, il concetto di Borsa continua nazionale del lavoro, ossia un luogo di incontro fra domanda e offerta di lavoro ove venga determinato il prezzo (salario) della prestazione lavorativa[1].
L'efficacia della riforma [modifica]
L'impostazione della legge è riconducibile ad una visione liberista dell'economia, secondo il modello di Adam Smith. Non è tuttavia possibile valutarne in senso assoluto i risultati, in quanto i fattori da prendere in considerazione sono molteplici ed interconnessi con quelli di altre aree economico-sociali. È possibile invece raccogliere quelli che, nel comune sentire, sono stati i pregi ed i difetti della legge 30. A questo proposito alcuni istituti, come l'Istat, Confindustria[2] o Almalaurea[3], effettuano periodicamente degli studi sulle condizioni occupazionali nel paese.
Pregi [modifica]
Le aziende che hanno deciso di introdurre le nuove tipologie contrattuali per le assunzioni, hanno beneficiato di sconti contributivi e fiscali nonché di un maggiore fattore di ricambio del personale, ove quello assunto non si fosse giudicato adatto. Inoltre le forme contrattuali previste (i cosiddetti contratti atipici di lavoro) sono considerevolmente aumentate di numero per meglio venire incontro alle molteplici esigenze implicite di un mercato del lavoro eterogeneo e globalizzato.
I primi anni di attuazione della legge Biagi hanno visto una generale riduzione del tasso di disoccupazione che è tornato ai livelli di quello del 1992[4].
Inoltre sembra, che col tempo, la situazione lavorativa di coloro che sono entrati nel mondo del lavoro con un contratto c.d. flessibile tenda a stabilizzarsi ed a concretizzarsi in un contratto a tempo indeterminato. Secondo il IX Rapporto AlmaLaurea, a cinque anni dalla laurea, risultano stabili 71 occupati su cento. Il grande balzo in avanti è dovuto in particolar modo all'aumento dei contratti a tempo indeterminato, che sono lievitati di 15 punti percentuali, raggiungendo quasi il 47% a cinque anni.
Difetti [modifica]
Alla prevista flessibilità non ha fatto seguito una riforma parallela sugli ammortizzatori sociali, tramutando di fatto una situazione di lavoro flessibile in una situazione precaria. Numerose testimonianze relative al disagio che ha comportato questa forma di precariato sono state raccolte da Beppe Grillo nel libro Schiavi Moderni, liberamente scaricabile in formato digitale[5].
Dovendo le aziende versare minori contributi, i lavoratori precari hanno un accantonamento pensionistico inferiore ai loro colleghi con contratti tipici. Questa situazione, combinata al progressivo invecchiamento dei componenti del nostro paese, ha fatto emergere un dibattito sull'opportunità di integrare le pensioni statali (tutelate da un fondo Inps) con un fondo pensione privato (il cui rischio ricade totalmente sul sottoscrittore).
L'elevato numero di forme contrattuali previste ha, in molti casi, disorientato le società (soprattutto quelle medio-piccole), spingendole a sfruttare solo una piccola percentuale dell'ampio ventaglio di soluzioni messo a disposizione. Forme come il lavoro condiviso, il lavoro a chiamata o lo staff leasing sono concretamente poco o per nulla usate[6].
Nel mercato del lavoro, le retribuzioni e i livelli di qualifica non sono proporzionate al livello di istruzione crescente delle ultime generazioni. Esiste inoltre una forte differenza di salario, a parità di mansioni, tra operaio, quadro e impiegato di concetto, fra i differenti contratti nazionali[citazione necessaria].
Alcuni dati[citazione necessaria] pongono in discussione l'ipotesi del libero mercato efficiente e della capacità del mercato del lavoro di assumere la migliore configurazione possibile nell'interesse economico delle parti, in assenza di vincoli legislativi.
Il lavoro precario inoltre crea delle situazioni economiche complicate per i dipendenti con in contratti "atipici" che in quanto precari, non sono in grado di poter fornire garanzie reali di un salario nel lungo periodo, lasciandoli in evidente difficoltà nel momento in cui sono costretti, anche in età avanzata, a richiedere agli istituti di credito del denaro per far fronte alle piccole spese quotidiane o per l'acquisto della casa nella quale andare ad abitare.
1 commento:
Legge Biagi Fonte Wikipedia
Legge Biagi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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La legge Biagi (Legge 14 febbraio 2003, n. 30 o, più brevemente, legge 30/2003) - "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" è una legge di riforma del mercato del lavoro che fu varata dal secondo governo Berlusconi. La legge prende il nome del giuslavorista Marco Biagi che vi ha contribuito come consulente e che è stato assassinato il 19 marzo 2002 a Bologna dalle nuove Brigate Rosse. Coloro che non vogliono associare alla memoria di Marco Biagi la legge (perchè ritengono che il progetto ideato da Biagi differisca con la legge effettivamente poi varata dal governo), la chiamano alternativamente: legge 30, legge Maroni o legge Sacconi (esponenti del governo che l'ha emanata). In realtà è improprio attribuire la regolamentazione del mercato del lavoro alla legge n.30/2003, in quanto quest'ultima è sola una legge delega al Governo. Ad essa ha fatto seguito il D. Lgs. n. 276/2003 che è invece la fonte normativa definitiva.
Indice
[nascondi]
* 1 Normativa
* 2 L'efficacia della riforma
o 2.1 Pregi
o 2.2 Difetti
* 3 Riferimenti e note
* 4 Voci correlate
* 5 Altri progetti
* 6 Collegamenti esterni
Normativa [modifica]
La legge Biagi introduce una riforma di portata (e numero di articoli), pari allo Statuto dei lavoratori. Diversamente da quest'ultimo, parte dal presupposto secondo cui la flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro è il mezzo migliore per agevolare la creazione di nuovi posti di lavoro e che la rigidità del sistema crea solo alti tassi di disoccupazione.
Secondo i detrattori della riforma, rispetto allo Statuto dei lavoratori, la legge riduce drasticamente diritti e tutele e le possibilità di intervento della magistratura nelle questioni contrattuali, che sono definite nell'ambito della concertazione fra le parti sociali, istituendo nuove figure lavorative che, nelle intenzioni del legislatore, meglio si adattano alle esigenze del mercato del lavoro globalizzato. La concertazione affida ancora poteri significativi ad un organo dello Stato, il Governo, che deve mediare fra le parti sociali (sindacato e associazioni di imprenditori).
Un decreto legislativo, n. 476 del 2003, in attuazione della Legge Biagi, estende notevolmente la definizione di trasferimento di ramo d'azienda all'art. 2112 del Codice Civile, non creando nuovi ambiti di possibile applicazione, ma includendovi operazioni già previste dalle normative, per le quali non esistevano gli stessi diritti e tutele. La modifica, dovuta alla Legge Biagi, a vantaggio dei lavoratori, aumenta il numero di quanti beneficiano dei diritti previsti in caso di outsourcing, al comma 5 del citato articolo (introdotti con la legge n. 18 del 2001).
Secondo i sostenitori della riforma, la legge Biagi, aumentando la flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, produce un aumento del tasso di occupazione e sostituisce uno strumento, ritenuto dagli stessi obsoleto, come quello della concertazione tra le parti sociali.
La legge Biagi ha introdotto, tra le altre cose, il concetto di Borsa continua nazionale del lavoro, ossia un luogo di incontro fra domanda e offerta di lavoro ove venga determinato il prezzo (salario) della prestazione lavorativa[1].
L'efficacia della riforma [modifica]
L'impostazione della legge è riconducibile ad una visione liberista dell'economia, secondo il modello di Adam Smith. Non è tuttavia possibile valutarne in senso assoluto i risultati, in quanto i fattori da prendere in considerazione sono molteplici ed interconnessi con quelli di altre aree economico-sociali. È possibile invece raccogliere quelli che, nel comune sentire, sono stati i pregi ed i difetti della legge 30. A questo proposito alcuni istituti, come l'Istat, Confindustria[2] o Almalaurea[3], effettuano periodicamente degli studi sulle condizioni occupazionali nel paese.
Pregi [modifica]
Le aziende che hanno deciso di introdurre le nuove tipologie contrattuali per le assunzioni, hanno beneficiato di sconti contributivi e fiscali nonché di un maggiore fattore di ricambio del personale, ove quello assunto non si fosse giudicato adatto. Inoltre le forme contrattuali previste (i cosiddetti contratti atipici di lavoro) sono considerevolmente aumentate di numero per meglio venire incontro alle molteplici esigenze implicite di un mercato del lavoro eterogeneo e globalizzato.
I primi anni di attuazione della legge Biagi hanno visto una generale riduzione del tasso di disoccupazione che è tornato ai livelli di quello del 1992[4].
Inoltre sembra, che col tempo, la situazione lavorativa di coloro che sono entrati nel mondo del lavoro con un contratto c.d. flessibile tenda a stabilizzarsi ed a concretizzarsi in un contratto a tempo indeterminato. Secondo il IX Rapporto AlmaLaurea, a cinque anni dalla laurea, risultano stabili 71 occupati su cento. Il grande balzo in avanti è dovuto in particolar modo all'aumento dei contratti a tempo indeterminato, che sono lievitati di 15 punti percentuali, raggiungendo quasi il 47% a cinque anni.
Difetti [modifica]
Alla prevista flessibilità non ha fatto seguito una riforma parallela sugli ammortizzatori sociali, tramutando di fatto una situazione di lavoro flessibile in una situazione precaria. Numerose testimonianze relative al disagio che ha comportato questa forma di precariato sono state raccolte da Beppe Grillo nel libro Schiavi Moderni, liberamente scaricabile in formato digitale[5].
Dovendo le aziende versare minori contributi, i lavoratori precari hanno un accantonamento pensionistico inferiore ai loro colleghi con contratti tipici. Questa situazione, combinata al progressivo invecchiamento dei componenti del nostro paese, ha fatto emergere un dibattito sull'opportunità di integrare le pensioni statali (tutelate da un fondo Inps) con un fondo pensione privato (il cui rischio ricade totalmente sul sottoscrittore).
L'elevato numero di forme contrattuali previste ha, in molti casi, disorientato le società (soprattutto quelle medio-piccole), spingendole a sfruttare solo una piccola percentuale dell'ampio ventaglio di soluzioni messo a disposizione. Forme come il lavoro condiviso, il lavoro a chiamata o lo staff leasing sono concretamente poco o per nulla usate[6].
Nel mercato del lavoro, le retribuzioni e i livelli di qualifica non sono proporzionate al livello di istruzione crescente delle ultime generazioni. Esiste inoltre una forte differenza di salario, a parità di mansioni, tra operaio, quadro e impiegato di concetto, fra i differenti contratti nazionali[citazione necessaria].
Alcuni dati[citazione necessaria] pongono in discussione l'ipotesi del libero mercato efficiente e della capacità del mercato del lavoro di assumere la migliore configurazione possibile nell'interesse economico delle parti, in assenza di vincoli legislativi.
Il lavoro precario inoltre crea delle situazioni economiche complicate per i dipendenti con in contratti "atipici" che in quanto precari, non sono in grado di poter fornire garanzie reali di un salario nel lungo periodo, lasciandoli in evidente difficoltà nel momento in cui sono costretti, anche in età avanzata, a richiedere agli istituti di credito del denaro per far fronte alle piccole spese quotidiane o per l'acquisto della casa nella quale andare ad abitare.
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